La grande piazza di Maro ospita raramente delle esecuzioni, ancora più raramente le flagellazioni. Quando la vittima raggiunta dal braccio secolare è una meretrice, una donna, allora l’evento richiama sempre un grande pubblico.
Gli artigiani e i mercanti della zona si fanno l’obbligo di essere presenti all’evento, persino i mercanti di lumache del Paro Agrontino nelle loro vesti unte e infangate sgomitano per partecipare. Tutti coloro che versano anche un solo ceo ai gabellieri desiderano far sapere che sovrintendono alla giustizia della città e che senza i loro soldi la contea non potrebbe andare avanti. Sulle loro robuste spalle grava il peso della burocrazia ed è giusto che la burocrazia riconosca questo fatto e li intrattenga e la guardia cittadina li tuteli.
I fattori e i braccianti sono invece al lavoro nei campi e dietro alle mandrie. Quando vi è uno di questi assembramenti, possono arrivare solo poco prima che l’esecuzione cominci e devono accalcarsi fra le due colonne della piazza, lontani dal patibolo.
Per i nobili un’esecuzione è come un evento mondano, sfoggiano nuovi vestiti e saggiano i rapporti di forza. Si riuniscono per discutere e vecchie faide vengono appianate, mentre nuove vengono scatenate da un gesto o una smorfia inaccorta di qualche giovane rampollo. Sono quasi sempre seguiti da un codazzo di servitori carichi di bottiglie di vini pregiati e vassoi con assaggi di pietanze prelibate con cui ingannare l’attesa.
Le donne di buona famiglia sono coperte di trine e merletti come se si recassero ad un ballo, gli ampi petti coperti di gioielli e monili. Hanno a portata di mano fazzolettini profumati per fingere alla vista del sangue un decoroso malore, ma sono eccitate quanto gli uomini all’idea dell’imminente supplizio.
Poi ci siamo noi, compiti e distaccati dall’alto della balaustra del palazzo degli scolastici. Annoiati praticanti della retorica e delle arti nere, desiderosi più che di vedere l’esecuzione di studiare i moti e il ribollire di quella folla che si ammassa sotto le mura del palazzo che rappresenta Maro stessa.
Intenti a confabulare sui gesti ritmici e rituali del carnefice e su quale fosse il primo trattato in cui fossero stati codificati i modi con cui doveva trattare i prigionieri. Eravamo poco partecipi delle grida della prigioniera mentre il boia la strattonava con gesti chiaramente esagerati e studiati per farla urlare maggiormente mentre arrivava al patibolo.
La donna aveva una guancia pesta e alcuni morsi sul seno divenuti visibili mentre le veniva strappata la veste non lasciavano dubbi che qualche guardia troppo zelante l’avesse stuprata. Poco male, meditare sugli ipotetici abusi subiti dalla ragazza aggiungeva pepe alla già concitata eccitazione del volgo.
Mentre gli altri scolastici sulla balaustra discutevano sul cerimoniale con cui il carnefice mostrava gli staffili alla folla perché gli indicasse quale usare, io ero l’unico la cui attenzione a volte fosse ancora attirata dalle grida della donna.
Da allora so una cosa sola, devo avere quella donna, devo sentire quelle grida come mie… un tributo al demone a cui ho venduto la mia anima, il Santo della Palude.
Prima che la flagellazione forse terminata mi ero già infilato a rotta di collo per le ripide scale che conducevano al porticato sottostante per recarmi a scoprire quale pretore o prefetto devo corrompere per raggiungere i miei scopi.
Con questo post forse un pelino sopra le righe(per non dire più sadomaso del solito) inizia quella che è stata fino ad ora una delle migliori parti di questa campagna single player. devo dire che le partite successive a “castle spulzeer” e “antico terrore” sono state al confronto un po’ fiaccotte, se si esclude l’assalto alla cripta maledetta.
Continuate a seguirci ne vedrete delle belle.
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