Gioco di ruolo da quando ho 13 anni e ho tuttora una campagna aperta. Non spenderei 5 minuti a giocare a Pokémon Go ma non me la sento di giudicare chi ci gioca essendo stato dall’altra parte della barricata.
Ho trascorso almeno quindici anni a giocare intensamente di ruolo.
Chi mi legge da tempo lo sa. Sono stato un master di Advanced Dungeons and Dragons, di Uno Sguardo nel Buio, de Il Richiamo di Cthulhu, di Fading Suns e di un’altra dozzina di sistemi appena assaggiati.
Io e la mia squadra ci sedevamo al tavolo alle 14 di ogni sabato e tiravamo le 18 affrontando draghi, non-morti, trappole e sortilegi.
D’estate giocavamo anche durante la settimana. Due, tre, perfino quattro volte. Il tempo volava, ci divertivamo un casino.
Alcuni nostri coetanei scuotevano la testa. Loro l’estate la trascorrevano in piscina, o nei campetti di calcio. Qualcuno scorrazzava in motorino tra giostre e pub.
A noi andavano bene i nostri dadi, le schede personaggio, i manuali di gioco.
I più non capivano cosa c’era di tanto divertente in un’attività del genere. Qualcuno tirava in ballo parole come “diseducativo” e “innaturale”.
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