Ho cominciato a fare un po’ di ordine nel vecchio blog di Oscurità e Apocalisse (un progetto ormai defunto per mancanza di tempo) e recuperare qualche racconto che non è più pubblicato. Questo è un racconto scritto molto tempo fa, ampiamente revisionato e in piccola parte “edulcorato” per poter essere incluso nell’espansione di Kata Kumbas ad opera di Putro: Redux.
Ci inoltrammo nella cattedrale di Cenziva in otto: io, Crasso il guardiano, Deifobo il paladino con gli scudieri Filozo e Garrone, i predicatori Orrico e Attalaso e il fattucchiere Assato. Su suggerimento del cardinale Capra eravamo guidati da una mistica del Nuovo Culto di cui non conoscevamo il nome, ma Orrico e Attalaso si sprecavano in lodi sulla sua bellezza, castità e devozione, probabilmente animati da pensieri tutt’altro che casti.
Fu una lenta discesa nell’averno.
La chiesa sorgeva sul terreno paludoso. Una sventurata idea del Cardinale che l’aveva resa presto inutilizzabile. Ora si diceva che fosse infestata dai demoni e se così era noi eravamo lì per cacciarli e ottenere la gratitudine del cardinale. Come cavaliere della fede era mio dovere esorcizzare il demonio in ogni sua forma e gli altri prodi devoti si erano uniti se non per fede almeno per le pezze di lana pregiata e le provviste offerte in ricompensa.
Sulla porta trovammo un vecchio che spazzava via dall’uscio le foglie morte. Strana visione per un tempio circondato dalla palude. Forse si trattava di un indemoniato. Come vide arrivare noi, guerrieri in armatura che scortavano una donna, scappò via verso la città e noi lo lasciammo andare
Entrammo guidati dalla donna, che reggeva un lume. L’interno era spoglio e bianco, le panche coperte di muffa. Le pareti trasudavano umidità e sembravano vive.
Orribili statue di donne, dai lineamenti appena abbozzati, che tenevano le gambe con le mani, ci osservavano malignamente dalle colonne. I fonti e gli aspersori erano trattenuti da delle colonne, attorno alle quali si attorcigliavano dei serpenti che cercavano di sfuggire ai rospi che li divoravano. Macabre immagini di una natura sovvertita.
Eravamo al centro della chiesa quando la donna che ci guidava scagliò il lume ad infrangersi contro la parete e scappò via.
Ci preparammo ad inseguirla, ma sentimmo dei ghigni diabolici scaturire dalle nicchie e dalle alcove: strisciando come vermi degli orribili nanerottoli pieni di pustole e placche cornee avanzarono verso di noi.
Ci mettemmo a cerchio, scudo contro scudo proteggendo in mezzo a noi Assato il fattucchiere e tentammo di calpestarli con gli stivali ferrati. Uno di quegli esseri morse Attalaso, che cadde immediatamente a terra tra conati di vomito e venne sommerso dai nanerottoli, che cominciarono a spolparlo ancora vivo.
– Il loro morso è velenoso, dannazione.- gridò Assato osservando le convulsioni di Attalaso.
I nanerottoli si disinteressarono temporaneamente a noi per divorare il predicatore.
-Per Attalaso non c’è più speranza, dobbiamo bruciarlo assieme ai mostri.- dichiarò Crasso.
Filozo prese una torcia e l’accese, mentre Crasso gettava contro le bestie tutto l’olio che avevamo portato per la lanterna della donna, poi scagliò la torcia e le bestiacce bruciarono con un urlo disumano.
Fu allora che sentimmo un ruggito, e prima che riuscissimo a voltarci verso la fonte del rumore, Garrone e Orrico erano già stati sventrati dalle zanne di un colosso grande come un bruto.
La cosa aveva troppe braccia e bocche per poterla descrivere, era coperta di aculei, pelo ispido e un’infinità di occhi, che ci osservavano malvagi. Era un essere troppo orribile perché l’occhio umano riuscisse ad osservarlo nella sua interezza.
L’essere abominevole afferrò con due braccia Filozo, poi con una chela gli staccò di netto la testa e gettò il resto del corpo lontano, come un bambino farebbe con un giocattolo rotto.
Mi venne da vomitare e fu solo il piegarmi per liberare lo stomaco a salvarmi dal venire decapitato da un lungo artiglio, affilato come un rasoio.
Crasso e Deifobo si avventarono contro l’orrore e gli tranciarono un paio di braccia prima che una orrenda massa di tentacoli uscisse da un’altra alcova per ghermirli e stritolarli in una poltiglia sanguigna.
Rimanevamo solo io e Assato, ma lui era immobilizzato dal terrore e rimase a guardare la bestia che si avventò su di lui. Questa lo prese per il collo, con una mano quasi umana, e con i suoi artigli iniziò a dilaniargli il ventre e a mangiargli le interiora mente ancora agonizzava.
Con un incredibile sforzo mi rialzai e corsi via lontano dalla cattedrale. Per qualche strano motivo le bestie non mi inseguirono oltre il portale della chiesa maledetta.
Senza accorgermene mi ero recato verso un tempietto pagano che sorgeva oltre l’ansa di un fiumiciattolo torbido. Qui vidi una forma che si muoveva tra le colonne e mi preparai ad affrontare un altro orrore, quello che avrebbe posto fine alla mia vita.
Invece, avvicinandomi, mi accorsi che si trattava della donna che ci aveva condotti nella trappola.
Stava cercando disperatamente di aprire una botola che sembrava resistere ai suoi tentativi di forzarla.
Mi scagliai addosso a lei, le strappai il velo e la presi a schiaffi.
-Era una trappola vero? È stato il cardinale Capra! Voleva che morissimo tutti e forse ne avrebbe mandati anche altri a morire in quell’abominio costruito da lui stesso! Vero?-
Non ebbi bisogno di aspettare le parole di colpa della donna, leggevo il peccato e la paura di essere stata scoperta nei suoi occhi. -La pagherai, donna! Tu e il cardinale! Erano miei amici e sono morti senza che io potessi fare nulla!-
La afferrai per la veste, ma la manica di questa cedette per lo strattone, allora le presi il braccio torcendoglielo dietro la schiena.
-Ora verrai con me a Cenziva e racconterai cosa hai fatto, se non per pietà di sette pii uomini morti, almeno per la paura dei ferri roventi del carnefice o dell’ottavo uomo, che è sopravvissuto, e non è più così pio come in precedenza.-